La prima volta che m’imbattei, o meglio mi scontrai, con Renato Palmieri fu nel lontano 1971, quando, di buon mattino, un mio carissimo amico, il cui nome mi piace qui ricordare, Quinto Quinzii, mi riscosse dal sonno all’improvviso apostrofandomi in tal modo:

 

            “Luciano, non ti alzi fino a quando non hai letto questo libriccino!”.

            I molti interessi in comune, il tono perentorio, il titolo “Introduzione alla Fisica Unigravitazionale” ed il fatto che anche il mio amico fosse un fisico mi indussero a scorrerne le poche pagine. Dopo circa un’ora il libro era tornato al portatore con un lancio perfetto.

 

            Passarono alcuni giorni e quel senso di malessere che deriva inesorabilmente dalle reazioni spropositate mi riportarono sul luogo del delitto: effettivamente nella formula newtoniana della gravitazione universale non era presente il parametro densità!

 

            “Ok, Tino, fammi conoscere l’uomo nato due volte”.

 

            Fu un’esperienza appagante sul piano dell’intelligenza e della logica perché il mio interlocutore usava quelle stesse capacità di sintesi che mi avevano sempre fatto preferire Leonardo a Galileo.

 

            Iniziò, allora, un duello che nel corso di più di trent’anni ha avuto come scenari conferenze, incontri con esponenti della fisica ufficiale, apparizioni sui media (Costanzo show), pubblicazioni ed ovviamente Internet.

 

            Esporre qui, anche per sommi capi, la teoria della propagazione ondulatoria eccentrica sarebbe come derubare il lettore del godimento visivo di una successione di albe e tramonti che, in maniera gaia ed ironica, si lasciano esplodere come fuochi d’artificio; più opportuno è giocare ai dadi lanciando sul tappeto una serie di informazioni atte a suscitare la curiosità dei sacri e dei profani (il libro è alla portata di tutti) e che troveranno la loro completa esplicitazione sulle pagine del WEB.

 

            Insomma, se da una parte era vero che il piccolo professore si era fatto ampiamente notare, dall’altra nessuno resisteva alla sua incalzante dialettica che costringeva oppositori, qualificati e no, a repentine chiusure mentali con la conveniente scusa di non aver tempo da perdere; ma la perversa politica dell’incuranza a volte presentava qualche falla: nell’edizione della EST Mondadori del 1964 alla voce “Meteorite” si legge, a proposito dei frammenti di uno stesso meteorite, “... quelli di massa maggiore continuano a velocità maggiore e perciò hanno un percorso più lungo” (vol. VI, pag. 731); nella riedizione del 1970, dopo una lettera di contestazione da parte di Palmieri, si legge invece “… quelli di massa maggiore hanno un percorso più lungo” (vol. VIII, pag. 368). Veniva silenziosamente omessa la spiegazione in base alla velocità, ovviamente non più soddisfacente, rendendo il tutto ancor più nebuloso e lasciando, poi, completamente insoddisfatti gli spettatori televisivi che nel luglio del 1994 osservarono i frammenti più piccoli della cometa Shoemaker-Levy schiantarsi per primi su Giove.

 

            Si riapriva il discorso della caduta dei gravi di Eötvös e si rivalutavano i dubbi espressi dallo stesso onesto Galilei : in caduta, nel vuoto, il corpo dotato di minor massa arriva prima.

 

            Intanto la messa a punto dell’ “equazione cosmologica” e del programma Olopoiema aveva aperto nuovi orizzonti di ricerca: se la fisica è anche filosofia, cioè sforzo interpretativo della realtà che ci circonda, il modello unigravitazionale non poteva ignorare le applicazioni della mente umana nei settori cosiddetti non scientifici.

 

            Il messaggio esoterico degli artisti del passato, da Piero della Francesca a Dalì, il codice geometrico delle Piramidi e delle Cattedrali, l’interpretazione matematica delle misure della Bibbia, diventavano trasparenti nell’applicazione di un'unica formula  che contemplava le caratteristiche del numero d’oro j e del suo apparente antagonista p.

 

            L’associazione dell’ altare degli olocausti  agli anelli di Newton o allo scudo del Centurione nella Deposizione di Antelami , la costruzione astronomica di Orléans e di Napoli, l’accostamento dell’icosaedro di Holyrood ai virus, non sono voli pindarici ma espressione della stessa rete viaria che secondo un disegno teleonomico ha costruito il cosmo.

 

            Ad un fisico non si può chiedere chi ha costruito l’universo, gli si può soltanto chiedere come è stato costruito: alla seconda domanda Renato Palmieri potrebbe aver già risposto, alla prima il pensiero non può che andare al “Giardino delle Delizie”, al “soffiatore” di Bosch, al Primo ed Immobile Motore.

 

 Luciano Cattaneo